Bonimba? Questo nome lo devo a Brera. A San Siro gli ho chiesto perché. Lui mi ha risposto dicendo che ho il culo basso e quando corro gli ricordo Bagonghi, il nano da circo. Ho incassato guardandolo come per fargli capire che coi miei 176 centimetri ero più alto di lui. Poi Brera scrisse sul Giorno: “è inutile che Bonimba mi guardi dall’alto in basso, nano l’ho battezzato e nano resta. Un nano gigante, però”.
Roberto Boninsegna
Nasce il 13 novembre 1943, a Mantova, Roberto Boninsegna, detto Bonimba, attaccante micidiale che ha vissuto le sue migliori stagioni con le maglie di Cagliari, Inter e Juventus. Protagonista con la maglia azzurra di quell’indimenticabile Mondiale ’70 terminato con la sconfitta in finale contro il Brasile di Pelé. Attore ne “I promessi Sposi” di Nocita e scopritore, nel ruolo di allenatore, di talenti come come Montella, Toni, Toldo, Iaquinta e Di Biagio. Le sue gesta restano custodite, ancora oggi, nel cuore dei tifosi come resta il rispetto reciproco con Agnelli anche se le idee politiche, tra i due, erano del tutto agli antipodi.
Boninsegna e Agnelli

“Non ho mai avuto problemi, nemmeno con Agnelli e Boniperti che certamente non la pensavano come me. Non facevo comizi, ma non ho mai nascosto da che parte stavo. Da che parte potevo stare? Mio padre era nel consiglio di fabbrica, alla Burgo. Bastava che facesse un fischio e si fermava l’intero reparto. Aveva perso tre dita sotto una pressa, così in guerra non c’era andato. Vedevo mio padre uscire in bici la mattina presto e rientrare distrutto, e tossire, tossire continuamente. La fabbrica ti dava da vivere e ti accorciava la vita. Non usavano le mascherine, un litro di latte gratis al giorno e via andare, pedalare e lavorare. È morto a 61 anni”.
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Il dialetto mantovano lo parla ancora oggi, anche quando, ogni qual volta glielo si chiede, ricorda la disfunzione tra le sue idee politiche e la Juventus di proprietà della famiglia più potente d’Italia. Bonimba è sempre stato un uomo riservato e tutto d’un pezzo che non ha mai voluto scrivere un libro su di sé: “Certo, me lo hanno proposto e c’era anche un discreto ingaggio anche. Ma ho detto no grazie, perché se avessi raccontato tutta la verità avrei sputtanato un sacco di gente e se non l’avessi raccontata mi sarei sputtanato io. Tanto valeva lasciar perdere”.
Il bomber alto solo 176 centimetri, però, non ha mai avuto peli sulla lingua come quando andò a muso duro contro Trapattoni:
“A me il sabato piaceva calciare una trentina di rigori, mi aveva insegnato Meazza. e poi tirare al volo sui cross. Pioveva, un giorno, e ne ho tirato uno altissimo. Allora il Trap mi fa: “Bobo, vuoi che ti dica dove hai sbagliato?” Allora gli ho chiesto quanti gol avesse fatto in carriera. Lui mi ha risposto: “Sei o sette”. A quel punto gli ho detto “Io 160, non mi menare il torrone”. Mi ha fatto dare 150mila lire di multa, ma poi amici come prima. Anche se quand’ero alla Juve non ha mai azzeccato un cambio”.
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La Nazionale e il Mondiale del ’70

Il più grande rimpianto resta la finale del Mondiale ’70 giocata a Città del Messico contro il Brasile: Il gol dell’1-0 nel “Partido del Siglo” contro la Germania e il decisivo assist per Rivera nel 4-3 che ha mandato gli azzurri in finale. Ancora ricorda la sconfitta contro i brasiliani: “Ho segnato il temporaneo 1-1 col Brasile. Nell’intervallo eravamo convinti di farcela, bastava che Valcareggi mettesse dentro Rivera al posto di Domenghini che non stava più in piedi. O meglio, che Rivera giocasse dall’inizio. Abbiamo regalato al Brasile il Pallone d’oro nella partita più adatta a lui. E senza staffetta. Mi piacerebbe rigiocarla con Rivera, quella finale”.
Quel mondiale, però, Bonimba non doveva nemmeno giocarlo: “Una notte sono stato buttato giù dal letto dal ragionier Bianchi che mi ha detto: va domattina al consolato messicano di Milano e poi prendi il primo aereo e fila ai mondiali. Al consolato sbatto contro Prati, anche tu qui? Sì, ci hanno richiamati. Che cos’era successo? Anastasi era stato ricoverato all’ospedale a Roma per un intervento inguinale. Lui era il titolare. Così con Valcareggi erano partiti in ventuno, mentre dovevano essere ventidue. Era mancato un attaccante e Valcareggi si rese conto che due soli attaccanti, Riva e Gori, per un mondiale erano pochi, così hanno recuperato me e Prati, scartati in precedenza”.